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I canaloni di Salve

Le Maldive del Salento

la spiaggia pesculuse

La Marina di Pescoluse, sulla costa del comune di Salve, è una meta molto ambita delle vacanze estive. Per le sue spiagge, ancora abbastanza ampie nonostante uno strano gioco di correnti che, inesorabilmente, continua a rosicchiarle, le è stato riconosciuto il titolo di Maldive del Salento.

Ma le Pescoluse non sono solo mare e spiaggia: sono anche un habitat incredibile dove il carsismo ha profondamente segnato il territorio che ha ospitato nei millenni insediamenti umani, favoriti dall'abbondanza di acqua.

Il percorso si svolge tra le campagne ed i canaloni dell'immediato entroterra, partendo dalla spiaggia, alla ricerca delle tracce di antichi insediamenti umani; alla guida, Salvatore Inguscio dello Studio Ambientale Avanguardie.

Il primo incontro: un Dolmen

Lasciata la spiaggia che, in inverno, non lascia neanche immaginare il frastuono e la confusione dei mesi estivi, ecco il primo incontro con la storia più antica del Salento.

Seminascosto dalla la rada macchia mediterranea e sopravvissuto, chissà come, all'urbanizzazione selvaggia di questi luoghi, ecco il Dolmen Argentina: si tratta di una piccola costruzione in massi di arenaria con la classica copertura, eseguita con un lastrone dello stesso materiale. Contrariamente ad altri del Salento, dalla piccola apertura posta a ovest si intravvede un piccolo scavo. La Puglia in generale ed il Salento sono gli unici luoghi dell'Italia meridionale dove è possibile vedere questi antichissimi monumenti, appartenenti ad un passato preistorico che, purtroppo, non ha avuto le attenzioni che avrebbe meritato; anzi, l'aratro del contadino e l'ignoranza della gente hanno contribuito alla scomparsa di tanti dolmen e menhir, ritenuti, spesso, qualcosa di inutile e di ingombrante.

C'è solo da sperare che illuminate amministrazioni locali e cittadini amanti della propria Terra possano contribuire a tutelare questo patrimonio in modo che anche le generazioni future possano goderne.

I Canaloni Carsici

canalone musciu

Il Salento non ha fiumi e, da secoli, la penuria di acqua ha segnato la vita e l'esperienza della popolazione. Tuttavia, l'acqua c'è ma è nascosta: i fiumi, grazie ad un diffuso fenomeno carsico, scorrono sotto la superficie. Della loro esistenza nei millenni passati sono rimasti i grandi canaloni carsici, veri e propri canyon che segnano, in più punti, il territorio provinciale.

canalone musciuSaranno proprio due canaloni a condurci in questa escursione: Lu Musciu (il gatto) e Lu Fanu, il canale che, insieme alla Masseria Fani, da il nome ai luoghi che avremmo attraversato.

Abitati sin da epoche remotissime, i canaloni hanno rappresentato, e lo sono tuttora, un habitat particolare; al riparo dai venti e dal freddo, rappresentano delle vere e proprie serre naturali; l'abbondanza di acqua ha permesso, per lunghi tratti, una vegetazione lussureggiante. Così, nei secoli, le pietraie hanno costituito il materiale principale per costruire i furnieddhi (i trulli salentini) ed i lunghi muri a secco, utilizzati sia per delimitare le proprietà che per terrazzare i poderi, in modo da sfruttare al massimo questi fertili luoghi.

Ed è così che, tra la vegetazione spontanea, i campi coltivati e gli ulivi secolari, è facile scorgere le tracce di antichissimi insediamenti, dalle grotte, naturali o scavate dall'uomo, ai menhir o resti di villaggi antichissimi.

Masseria Fani e la Chiusa

masseria fani

Al termine de Lu Musciu, dopo alcuni floridi oliveti, ecco la sagoma austera della torre della Masseria Fani. E' uno di quei pochi casi in cui, alla masseria preesistente, è stata aggiunta la torre a scopo di difesa dei luoghi dalle scorrerie dei pirati saraceni e dei turchi che, trovando questi luoghi ricchi di acqua e derrate alimentari, venivano qui per rifornirsi, creando, chiaramente, scompiglio nella popolazione. Ed è così che, all'insediamento originario, databile intorno al 1300, fu aggiunta nel 1577 la torre ad opera della famiglia Gonzaga, proprietaria dei feudi di Alessano e Specchia, il cui stemma è visibile sul lato est della costruzione.

Di fronte alla masseria, verso il mare, insiste il sito archeologico della Chiusa. La denominazione Chiusa deriva, probabilmente, dal fatto che l'area, che copre una superficie di tre ettari, è racchiusa in un recinto costituito dai resti di poderose mura spesse, in alcuni punti, sino a 4 metri.

Del luogo si occuparono, a partire dal 1987 e per quattro anni, studiosi provenienti dall'università di Sidney. Gli scavi effettuati hanno permesso di ritrovare reperti che coprono un periodo di circa 1500 anni a partire dall'età del bronzo (circa 4.000 anni fa); successivamente, il luogo fu abbandonato sino ai nuovi insediamenti avvenuti mille anni dopo (età del ferro) e, dopo un ulteriore periodo di abbandono durato qualche secolo, un nuovo insediamento, questa volta messapico.

Furono probabilmente i Messapi a costruire le grandi mura di cui, ancora oggi, sono visibili i resti; due grandi porte permettevano l'accesso al villaggio ed una di esse era proprio in prossimità della Masseria Fani. Ai tempi della grande guerra tra le città messapiche ed i Tarantini (470 a.C.), l'insediamento fu nuovamente abbandonato e, questa volta, per sempre.

La sorgente dei Fani e gli insediamenti Basiliani

Lasciata la masseria proseguendo per il canalone, si incontra una delle ricchezze di questi luoghi: la sorgente dei Fani la cui presenza giustifica gli insediamenti umani; e così, dopo i primi abitanti ed i Messapi, intorno al 730 d.C. giunsero qui i monaci Basiliani, cacciati dall'impero d'Oriente da Leone III durante la lotta iconoclasta. Per sfuggire alle persecuzioni, i monaci, in gran numero, si rifugiarono nel Salento, nascondendosi in grotte e cripte spesso scavate nella roccia sedimentaria.

grotte basiliane

Queste cripte e laure basiliane sono visibili proprio lungo la parete affacciata ad occidente del canale dei Fani; una di esse aveva proprio funzioni di luogo di culto: è costituita da due ambienti, il primo dei quali, sulla parete a destra dell'ingresso, presenta tracce di intonaco su cui è possibile scorgere degli affreschi in pessimo stato di conservazione.

Masseria Don Cesare

masseria don cesare

Abbandonato il canalone, il percorso procede sulla collina da cui si domina tutta la costa, dalle Pescoluse sino al Capo San Gregorio che nasconde, ancora più a sud, il Capo di Leuca. Domina il crinale il rudere dell'antica Masseria Della Palude, meglio nota come Masseria Don Cesare dal nome dell'antico proprietario, Don Cesare de Franchis, che, originario di Palermo, si trasferì nel Salento dopo aver sposato una nobile del luogo.

Come già visto per la Masseria Fani, anche in questo caso siamo di fronte ad un insediamento originario di epoca medioevale (1300 circa) dove, nel 1600, fu affiancata la torre di difesa per tutelare il luogo dai continui attacchi dei pirati. Il posto era ricoperto da una folta macchia mediterranea, oggi del tutto scomparsa, che ha contribuito alla toponomastica del luogo, conosciuto come Macchie Don Cesare.

Purtroppo, dell'antica masseria oggi resta in piedi solo un antico muro, probabilmente del XIV secolo, in pietre informi tenute insieme da malta rossa, ed il solo vano della torre al pian terreno; il resto crollò, inesorabilmente, a causa del degrado e dell'incuria nel novembre del 2003, privando il Salento e gli appassionati di un pezzo di storia che niente e nessuno avrebbero mai potuto restituire. Come se non bastasse, nell'estate 2005 un violento incendio divampò in questi luoghi. E' proprio vero: non c'è limite al peggio!

spiaggia di pescoluse

Lasciata la collina della Masseria Don Cesare ed il panorama sulla costa che questa, nonostante tutto, può ancora offrirci, il percorso procede sin sulla costa da dove, qualche ora prima, aveva avuto inizio.

Documento creato il 07/01/2007 (21:29)
Ultima modifica del 18/03/2011 (18:08)

 

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