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Altri documentiProv. di Lecce
Estremo lembo d'ItaliaA Leuca tocca il ruolo di tacco nella metafora dell'Italico Stivalone. Il territorio nazionale trova qui la sua fine geografica ed un braccio di mare di poche decine di miglia lo separa dall'altra sponda dello Ionio. Leuca quasi sonnecchiava in questa domenica di tarda primavera, ed i pochi abitanti, noi compresi, erano stato sorpresi da un fastidioso vento di scirocco che scuoteva le creste del mare al di là del molo. Il trekking era disegnato in due dei tre canaloni carsici che movimentano il tessuto urbano della cittadina e che lasciano tra le bianche case due verdi arterie che ci permettono almeno di immaginare come dovevano essere questi luoghi quando ancora erano un piccolo agglomerato di poche case. Il luogo dell'appuntamento con Salvatore Inguscio -la guida- era il primo dei ponti che si incontrano scendendo a Leuca dalla superstrada per Gallipoli; certamente il più famoso, data la sua vicinanza al terminal dell'Acquedotto Pugliese, la struttura idrica più grande d'Europa. Il luogo di partenza, invece, era esattamente sotto il grande ponte: le sue arcate sembrano tre grandi bocche pronte a fagocitare il nostro gruppo che, in pochi passi, si sarebbe perso in una folta macchia mediterranea. Un ambiente incredibileSembra difficile credere che la macchia mediterranea, talvolta così intricata da impedirci il passo, possa sopravvivere ai bordi della città, sotto lo sguardo attento di quelle abitazioni che sembrano non capacitarsi della sua caparbietà di vincere l'edilizia selvaggia dei luoghi di vacanza. Eppure tra i canaloni i folti cespugli di mirto, olivastro e lentisco la fanno da padrone, aiutati dalle immancabili liane spinose -le smilax- che non mancano di trattenerti per i vestiti o farti inciampare. Quando i cespugli si diradano, ecco comparire i fiori gialli della salvia selvatica o il cisto di Montpellier che abbelliscono i tipici muretti a secco che delimitano gli antichi terrazzamenti dedicati ad una difficile -quanto improbabile- agricoltura. Alle aree agricole fanno coro un gran numero di rifugi -i tipici furneddhi- che, con la loro base quadrata, caratterizzano il paesaggio; insieme alle tante grotte, hanno dato rifugio, nei secoli, ad uomini ed animali. Un percorso asproSe si riesce a concentrarsi e a non pensare alla civiltà che con abitazioni, alberghi e strade corre proprio a pochi passi dal nostro gruppo, è facile immaginare la vera asprezza che questi luoghi dovevano avere agli occhi di coloro che, sbarcati nella piccola spiaggia dove il canalone ha termine, dovessero intraprendere un viaggio sulla terraferma alla ricerca di acqua che, certamente, qui non mancava. Il percorso prevede l'attraversamento del canalone, passando più volte da un lato all'altro; il canyon è profondo in alcuni punti anche 40 metri e, da questa altezza, è possibile godere il paesaggio sino al mare. Il secondo canalonePercorso quasi in tutta la sua lunghezza il primo canalone -poco meno di 2 Km- e superata una campagna di oliveti, si giunge ad un lieve avvallamento che ci annuncia l'inizio del secondo; qui la vegetazione è più vigorosa, fatta di alberi di pino e lecci incredibilmente sopravvissuti al taglio e agli incendi. Ben presto il canyon si fa più netto e profondo: le sue pareti sono a strapiombo e alla loro sommità -ahimè- un bellissimo muro di mattoni forati ci riporta violentemente a questo XXI secolo che non lascia spazio alla natura. Tuttavia, il piacere di percorrere qualche centinaio di metri in un bosco sul fondo del canyon, come dice qualcuno, non ha prezzo! Documento creato il 30/05/2007 (21:32)Ultima modifica del 31/05/2007 (12:49) Area di StampaUltimi aggiornamenti...Fotorassegne |
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