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Il tema della povertà della ChiesaDi Giuseppe Tondi Con cadenza quasi periodica, assistiamo a campagne di denuncia di colpe della Chiesa, che si concludono generalmente con l'affermazione che i suoi errori e le sue colpe deriverebbero dal fatto che la "sposa di Cristo" avrebbe tradito l'annunzio evangelico, specialmente quello relativo alla povertà. Il tema della "povertà della Chiesa" ha suscitato e suscita l'attenzione di molte persone sia al suo interno (e la cosa è più che comprensibile) sia all'esterno, sino a toccare ambienti ed ambiti del tutto distinti e distanti dalla Chiesa e dalle sue problematiche. Ma perché è importante per il "credente" e - questa l'apparente singolarità della vicenda - anche per il "non credente" porsi il problema della povertà della Chiesa? Forse un aiuto per una possibile e plausibile risposta ci viene da un libro di Umberto Eco che negli anni Ottanta ebbe una vastissima diffusione in tutto il mondo, "Il Nome della Rosa", quando nella "prima" del "quinto giorno" ha luogo "una fraterna discussione sulla povertà di Gesù" fra una delegazione dell'ordine francescano (minoriti) ed una di teologi della curia d'Avignone. Nel libro l'aspetto palese e "sociale" della controversia è costituto dalle affermazioni dei minoriti (se Gesù è stato povero, anche i successori degli apostoli devono essere poveri e, conseguentemente, la Chiesa deve rinunciare alle proprie ricchezze e distribuirle ai poveri) e dalle argomentazioni in senso contrario dei teologi papali. Sulla scia del capitolo dei frati francescani tenutosi a Perugia nel 1322, Eco ci presenta la disputa fra le due delegazioni e cioè se Cristo nella sua vita terrena sia stato o no proprietario della tunica che portava. Però, come argutamente osserva il protagonista del romanzo, Guglielmo da Baskerville: La questione non è se Cristo fosse povero, è se debba essere povera la chiesa. E povera non significa tanto possedere o no un palazzo, ma tenere o abbandonare il diritto di legiferare sulle cose terrene. Dopo questa precisazione, anche al giovane Adso, l'assistente di Guglielmo, appare chiara la ragione per cui l'imperatore (Ludovico il Bavaro) tiene tanto ai discorsi dei minoriti sulla povertà. Infatti. I minoriti -ribadisce Guglielmo - fanno il gioco imperiale contro il papa... La storia ci ha mostrato nel corso degli ultimi ottocento anni molti altri imperatori "tenere tanto" (personalmente o sostenendo i minoriti di turno) alla povertà della Chiesa. E questo perché - per dirla con parole diverse da quelle di Guglielmo da Baskerville - invocare una Chiesa povera significa voler confinare la religione nella sfera "privata" del credente, impedendo alla fede di diventare cultura e all'uomo di sviluppare armonicamente la propria personalità. Ecco il vero nucleo della concezione assolutistica, secondo cui è lo Stato che, in ultima istanza, deve formare le coscienze. Anche oggi, nel terzo millennio, mi pare di poter dire che il cristiano sia ben accetto dal Potere solo quando della sua fede ne fa un fatto privato; quando non dà noia a nessuno; quando vive relegato nel proprio angolino, chiuso in una ìlsa e sterile umiltà. Non parliamo poi se l'autorità ecclesiale si rivolge ai cattolici per ricordare principi e valori in campo di fede e di morale, scatta subito l'accusa di ingerenza nella vita dello Stato. A differenza del passato, però, la cosa singolare è che, della necessità di questa completa omologazione del credente al mondo, si vanno convincendo anche alcuni cristiani, per cui agli occhi di costoro diventa "politicamente scorretto" chi difende, anche con vigore, le proprie convinzioni; chi non ha paura di mostrarle davanti a tutti; chi crede che queste rappresentino il vero bene. Esagerazioni? Per rispondere negativamente a quest'interrogativo, credo sia sufficiente riportare qualche esempie (di una casistica più ampia) del furore che anima una vasta schiera di parlamentari europei di estrazione liberal-radicale. Il liberale danese Bertel Haarder, quale relatore sul "rispetto dei diritti umani nell' Unione europea" osserva con soddisfazione che "in numerosissimi Stati membri vige un crescente riconoscimento della convivenza al di fuori del matrimonio indipendentemente dal sesso" e, dopo aver sollecitato "gli Stati membri che non abbiano già provveduto a adeguare le proprie legislazioni per introdurre la convivenza registrata delle còppie dello stesso sesso", deplora "che nei codici di taluni Stati membri siano tuttora vigenti disposizioni discriminatorie del consenso minorile per rapporti omosessuali". Nel rapporto sui diritti umani nel mondo, il liberale olandese Van den Bos "disapprova vivamente il recente rifiuto espresso dalla Congregazione vaticana per la dottrina della fede nei confronti dei progetti di riconoscimento legale delle unioni fra persone omosessuali". Se Giovanni Paolo II ed il patriarca ortodosso romeno sono redarguiti da un gruppo di parlamentari europei per non aver mutato il loro atteggiamento negativo verso le lesbiche; altri deputati auspicano che Bruxelles non accetti la richiesta di adesione all'Ue di quei Paesi che hanno al loro interno una normativa a tutela dell'embrione. Da parte loro i radicali italiani Turco, Pannella, Cappato e Dupuis non mancano di denunciare "le affermazioni del Sommo Pontefice come ingerenze nelle legislazioni in materia di matrimonio e divorzio". Qualche volta, però, anche chi invoca la piena separazione fra Stato e Chiesa, denunciando le ingerenze clericali, può cadere nella stessa tentazione. E' il caso della Commissione per i diritti della donna, che occupandosi di "donne e fondamentalismo", condanna la Chiesa cattolica perché non ammette il sacerdozio femminile. Numerose anche le proposte di sanzione contro la Santa Sede. La più curiosa: "in caso di continuazione delle pressioni (vaticane)... sugli Stati membri si dovrebbe sospendere la possibilità per lo Stato Vaticano di coniare ed emettere propri euro". Appare chiaro come, al di là delle possibili forme che lo Stato può assumere o ha assunto nel corso dei secoli, il nucleo del problema "povertà della Chiesa" non è di natura "sociale", ma "ideologica" e riguarda l'estensione dei poteri dello Stato. Dietro l'affermazione di volersi emancipare da qualsiasi ingerenza clericale, lo Stato laico vuole, in realtà, emanciparsi da ogni e qualsiasi controllo e limite. Lo statalismo non può che essere contro la Chiesa, perché una Chiesa libera e indipendente si sentirà sempre libera di criticare l'autorità politica. Ed è una sfida questa che il potere non può tollerare. Giuseppe Tondi, Quotidiano di Lecce 10/04/2004. Documento creato il 15/04/2004 (13:27)Ultima modifica del 15/04/2004 (13:27) Area di StampaFortune Cookie...È mala cosa esser cattivo, ma è peggio esser conosciuto. |
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