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Storie e tragedie legate alla lavorazione del tabacco nel basso Salento Da leggere...ultimi eventiLa Terra SalentinaFotorassegneUltimi aggiornamenti...
Il lavoro racconta...La lavorazione del tabacco a Tricase ha avuto origine con la famiglia Torsello nel 1883, periodo in cui, nel Capo di Leuca, iniziarono le prime coltivazioni dei tabacchi levantini. Solo dopo le prime coltivazioni in via sperimentale, nel 1910, il monopolio diede la prima concessione speciale per la coltivazione del tabacco. Fu così che nacque uno dei primi tabacchifici a Tricase. Nell'azienda lavoravano, all'epoca, oltre ai locali anche manodopera specializzata proveniente dalla Turchia, perché insegnassero ai contadini come coltivare questa particolare pianta. Con l'incremento della coltivazione, nel 1915 fu costruito il primo opificio ad Alessano in cui lavoravano circa 300 persone. Il terreno del Salento era ottimo per la coltivazione del tabacco, sia per quantità che per qualità, diventando così una risorsa particolarmente remunerativa per la comunità. In tutto il Salento si cominciò a lavorare questa pianta; nella zona del Capo di Leuca, in particolare, si coltivava l'arzevolina, il tabacco levantino molto forte e profumato, mentre nelle zone più umide, come ad esempio Cutrofiano, si coltivava la verustizia. Una pianta, il tabacco, proveniente dall'America e giunto nel Salento con la speranza, per la povera gente, di alleviare qualche sofferenza: purtroppo non portò nulla di più ai contadini che potevano con il loro lavoro solo sopravvivere mentre a guadagnarci, e tanto, erano sempre gli stessi: lo Stato e i padroni. Ecco, in sintesi, la lavorazione del tabacco: lo Stato dava le concessioni a piccoli gruppi di persone molto vicine al Governo, che potevano fare tutto ciò che volevano, visto che nessuno lo poteva impedire. I contadini e la povera gente, bisognosi di lavorare e guadagnare una giornata in più, sottostavano a qualsiasi angheria del padrone, anche le più ignobili, come prostituire le proprie figlie. Anche le donne, “le tabacchine” come venivano chiamate, lavoravano il tabacco e, nei primi decenni del 900, erano sfruttate all'inverosimile: la vita nei campi era dura, in campagna non avevano nulla per proteggersi dal sole e dalle scottature tanto che, a volte, i loro volti risultavano sfigurati dal sole. Tutto il sistema sociale era incentrato sulla coltivazione di questa pianta, tanto che i matrimoni all'epoca seguivano il periodo delle coltivazioni e avvenivano tutti o quasi nel mese di novembre, il mese di riposo per la campagna. Per poter coltivare il tabacco, i contadini che avevano della terra lo coltivavano per conto proprio, mentre chi la terra non l'aveva, era costretto -se poteva- a prenderla in affitto per poter essere un po' più libero. Ogni contadino, comunque, doveva sottostare a quanto disposto dal Concessionario ossia i soliti noti vicini al potere politico. Il contadino cominciava a lavorare a gennaio con la semina; successivamente, le piantine venivano trapiantate e, tra luglio ed agosto, si procedeva con il raccolto e l'essiccazione sole delle foglie. La raccolta si suddivideva in varie fasi e seguiva le dimensioni delle foglie; successivamente, le foglie raccolte, “cucite” le une alle altre ed appese ai telai e lasciate seccare al sole. A questo lavoro partecipava tutta la famiglia: grandi e bambini e tutti proteggevano il prezioso raccolto da eventuali temporali, in quelle rare occasioni infatti, uscivano tutti di corsa a dare una mano, donne, bambini ognuno a fare la sua parte, pur di proteggere il capitale. Con il passare del tempo e con la crescita della domanda la coltivazione di tabacco si spostò dal basso Salento fino a Ginosa, in un'area molto favorevole per le piante. I nostri coltivatori andavano fin là per insegnare ai contadini del luogo come procedere nella coltivazione. Partivano con tutta la famiglia, perché veniva data loro la casa, anche se in condizioni disastrate, il vitto ed un salario minimo. Era, tutto sommato, preferibile all'emigrazione in Svizzera perché a pochi chilometri da casa. Subito dopo la guerra il lavoro era poco e si concentrava in poche masserie: i contadini che ci lavoravano venivano stipati in una sola stanza piccola, così le famiglie del Capo cominciarono a spostarsi con il cavallo, con la bici ed alcuni anche con il treno per andare a lavorare a Palagiano, Ginosa, Moltalbano, dove c'erano terre e locali ampi per guadagnare qualcosa in più, visto che i contadini di quelle zone non sapevano nulla sulla coltivazione del tabacco. A fine raccolto, dopo la consegna ai Monopoli, si facevano i conti ma i guadagni per i nostri contadini erano veramente pochi. Nasce così il fenomeno dell'emigrazione e negli anni 50, molti lasciarono il Salento per andare a lavorare in Svizzera: il numero dei coltivatori di tabacco comincia a diminuire sensibilmente. Ma torniamo a Tricase Il primo Consorzio agrario nasce a Tricase nel 1902: fu fondato grazie a importanti rapporti d'affari con aziende straniere che acquistavano il tabacco salentino. Nel 1906 il Consorzio ottenne la concessione speciale per la lavorazione, specializzandosi nella confezione di sigarette molto richieste dopo la prima guerra mondiale. Nell'aprile del 1935 fu approvato un decreto che prevedeva l'accorpamento dei Consorzi sparsi nella provincia in uno solo a Lecce. La gente di Tricase all'epoca viveva di tabacco: tra ditte manifatturiere e l'azienda di Stato lavoravano oltre 1000 persone. Il consorzio tricasino garantiva serenità ai lavoratori, un salario e servizi moderni alle operaie come, ad esempio, l'asilo nido. La notizia del trasferimento a Lecce fu considerata, dalla gente, come una minaccia al proprio, conquistato, benessere: cominciarono i primi scioperi e le prime proteste. La sera del 15 maggio, su suggerimento del ragioniere Mario Ingletti, uno dei dirigenti del Consorzio, la protesta fu organizzata in piazza: a difendere con un solo grido il proprio lavoro dovevano essere solo le donne e senza armi. Ma la gente cominciò ad aumentare: alle donne si aggiunsero gli uomini che le accompagnavano e i ragazzi, tutti riuniti a protestare in piazza, sotto l'orologio e al municipio. La folla chiedeva a gran voce l'intervento del potestà. Intanto i carabinieri avevano chiuso il municipio per non fare entrare nessuno. Vedendo che le richieste non venivano esaudite, la gente, ancora più disperata, buttò dell'olio sul portone del comune per dargli fuoco: ormai la manifestazione aveva preso una brutta piega. Cominciarono le botte, gli spari e si udirono le grida dei feriti e i pianti per i morti. A morire furono in 5 e oltre 60 furono i feriti. Tra le vittime anche una certa Cosima Panico, colpita alla testa da una pallottola mentre usciva dalla chiesa: a sparare fu un finanziere, Rizzo Pompeo di Tutino. Altre vittime furono Maria Nesca, Panarese Pierino, un ragazzo di soli 15 anni e Scolozzi Donata. Per alcuni mesi i contadini di Tricase furono trattati come sovversivi: braccati, condotti in caserma e a volte condannati da una giustizia sommaria e manipolata. I primi giorni di aprile il procedimento si concluse e la gente che partecipò a quello sciopero fu rilasciata. Prima di quel giorno, la sera, si udivano le donne cantare: dopo le tristi vicende di quella tragica sera del 15 maggio tutto cambiò. Un silenzio terribile scese su Tricase che sembrava essere una città morta. Con la caduta del fascismo, nacquero le prime sezioni del partito comunista e le camere del lavoro, dando l'illusione al popolo che poteva ribellarsi alle ingiustizie subite. Le tabacchine, tutelate dai dirigenti del partito comunista, cominciarono ad organizzare le manifestazioni per tutelare i propri diritti: furono le prime a capire che per ottenere il cambiamento si doveva lottare, ma purtroppo mancava l'istruzione. Tutto il resto è storia dei giorni nostri. Documento creato il 28/11/2012 (12:21)Ultima modifica del 28/11/2012 (13:25) Area di StampaFortune Cookie...Chi non fu buon soldato, non sarà mai buon capitano |
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